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Autour de l'incontournable Grande Guerre

La figura del fante ne La rivolta dei santi maledetti di Curzio Malaparte

Francesca Medaglia
p. 67-78

Résumés

Cet essai entend analyser la figure du soldat d’infanterie telle qu’elle est présentée par Curzio Malaparte dans La rivolta dei santi maledetti (1923). Le fantassin « révolutionnaire » de Malaparte est ici appréhendé en tant que représentation significative de l’inquiétude de la société italienne entre la fin des années dix et le début des années vingt du Vingtième siècle. Dans cet ouvrage l’auteur présente une lecture polémique et classiste de la défaite de Caporetto, non pas restituée en tant que débâcle militaire, mais comme berceau d’une nouvelle humanité, c’est-à-dire tournée contre les maux du système sociétal et politique italien. Cette représentation interprétait le monde militaire à travers le prisme de la rhétorique socialiste en vogue à l’époque, comme la reproduction du système capitaliste, là où les officiers sont bourgeois et les fantassins prolétaires. Cependant Malaparte insère dans cette lecture des nuances nationalistes, considérant la Grande Guerre comme l’apogée de la lutte d’unification nationale commencée en 1821 et comme la révolte des fantassins contre la corruption sociale.

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Texte intégral

  • 1   Giancarlo Vigorelli, Malaparte: Testimonianza e proposta di revisione, in Curzio Malaparte, Oper (...)
  • 2   Lucio Ceva, Teatri di guerra: comandi, soldati e scrittori nei conflitti europei, Milano, Franco (...)
  • 3   Giorgio Luti, Malaparte narratore d’inchiesta e di memoria, in Gianni Grana (a cura di), Malapar (...)
  • 4   Enzo R. Laforgia, Malaparte scrittore di guerra, Firenze, Vallecchi, 2011, passim.

1Curzio Malaparte viene spesso considerato come un personaggio controverso ed ambiguo della letteratura italiana del xx° secolo1: spesso a cavallo tra ideologie contrapposte2, il suo è il caso di uno scrittore che ebbe grande successo mentre era in vita, ma che fu obliato per lungo tempo dopo la sua morte3. Egli appartiene a quella generazione la cui vita fu attraversata da entrambi i conflitti mondiali, ai quali egli partecipò sia come combattente sia come giornalista, non tralasciando mai di trascrivere e raccontare la verità degli orrori e degli strazi della guerra4:

  • 5   Giorgio Luti, op. cit., p. 221.

[...] è innegabile che Curzio Malaparte attraversi tutti i momenti fondamentali della storia letteraria del Novecento, e tutti li colleghi in una parabola coerente, anche se non sempre lineare. [...] si può dire che Malaparte fu sempre al centro dei momenti vitali dell’esperienza letteraria e artistica del nostro paese 5.

2Esiste un corpus di opere – che spaziano dalla prosa alla poesia, dal teatro alla pittura – dedicate dagli artisti e dai letterati che hanno combattuto la Grande Guerra, all’orrore che hanno vissuto spesso in prima persona. Questo evento ha radicalmente trasformato l’identità dei giovani europei che vi hanno preso parte, condizionando fortemente la letteratura di quel periodo e quella successiva. Ogni opera, in quanto visione soggettiva e personale, ha fornito una sua immagine della guerra, spaziando e attraversando vari generi, che la hanno caratterizzata, tra i quali: le memorie e le lettere di prigionia, i diari ed i giornali di guerra, le corrispondenze dal fronte degli inviati, nonché la narrativa di stampo autobiografico, nata dall’esperienza sul campo. Più in generale, però, ad una serie di opere legate ad una visione orientata a rappresentare la disperazione della guerra di trincea, si è contrapposta una serie di opere propagandistiche, basate sull’esaltazione dell’eroismo e della virilità del soldato italiano. Esistono anche opere che rimangono al di fuori di ogni possibile categorizzazione e La rivolta dei santi maledetti di Curzio Malaparte è, certamente, una di queste.

  • 6   Cfr. Andrea Pozzetta, “Ci sono veramente delle canaglie fra i soldati!” Curzio Malaparte: da Viv (...)
  • 7   Curzio Malaparte, Opere Scelte, a cura di Luigi Martellini, Milano, Mondadori, 1997, p. 1489.
  • 8   Andrea Pozzetta, op. cit., p. 59.

3Quest’opera venne pubblicata la prima volta con il titolo Viva Caporetto! nel 1921 e fu immediatamente censurata per il contenuto antinazionalista e disfattista: a questa edizione Malaparte ne fece seguire un’altra, sempre nel 1921, alla quale, con il preciso intento di aggirare il provvedimento censorio, cambiò titolo in La rivolta dei santi maledetti: purtroppo anche questa fu censurata e sequestrata 6. Nel 1923 Malaparte pubblicò una seconda edizione emendata, a cui aggiunse un breve scritto intitolato Ritratto delle cose d’Italia, degli eroi, del popolo, degli avvenimenti, delle esperienze e delle inquietudini della nostra generazione, nonché alcune pagine introduttive intitolate L’autore e la guerra e ulteriori conclusioni intitolate Resultati  7. In ogni caso i cambiamenti del testo non mutano «la tesi generale del pamphlet: la visione realistica del fante e della guerra è inalterata, la difesa del gesto di Caporetto rimane intatta, come la pulsione rivoluzionaria e l’idea di un risorgimento da proseguire e portare a termine» 8. La rivoluzione dei fanti, infatti, nell’idea di Malaparte, ha come compito quello di condurre a termine le istanze risorgimentali; nel corso del trattato, quindi, Malaparte contrappone nettamente due periodi storici:

  • 9   Angelo Colombo, Per una rilettura della Rivolta dei santi maledetti, in Gianni Grana, op. cit., (...)

[il] periodo romantico, espresso politicamente al suo apogeo attraverso il garibaldinismo, a cui segue l’età dominata dal sorriso “disgraziatamente italianissimo” del Cavour. Della terna dei megalòpsicoi che hanno plasmato di sé il primo Ottocento – Mazzini, Garibaldi, Leopardi [...] – non resta che l’eredità di un “popolo grasso, più scettico, più vile”. [...] al Risorgimento si è avvicendata la distruzione dei valori millenari, attraverso un processo che condanna l’Italia tra “i paesi più incivili del mondo”, poiché i suoi abitanti non possiedono alcun “senso del diritto” 9.

  • 10   Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, vol. iii, Torino, Einaudi, 1977, p. 2010-2034.

4D’altronde la concezione del Risorgimento italiano come un periodo storico gravido di promesse inattese sul versante dell’elevazione sociale e politica delle masse proletarie italiane appare un patrimonio condiviso della gran parte della cultura politica progressista e socialista tra le due Guerre Mondiali. Lo stesso Gramsci, infatti, ha adottato il concetto di “rivoluzione passiva” per definire il Risorgimento, ovvero un processo storico che ha consentito la modernizzazione della società italiana ma che, nella sua fase di assestamento, ovvero in seguito alla conclusione degli eventi bellici, si è ripiegata su se stessa, assumendo i caratteri di una sorta di restaurazione 10. In questa sede non è possibile affrontare in maniera esauriente il parallelismo tra Gramsci e Malaparte, ma appaiono indubbie le assonanze tra le interpretazioni storiografiche dei due autori.

  • 11 Ibidem, p. 186.
  • 12   Andrea Pozzetta, op. cit., p. 49.

5Nell’opera analizzata in questo articolo l’autore cerca di porre in rilievo una visione polemica e classista della disfatta di Caporetto: per lui questa non è stata, come per la maggior parte degli italiani, una disonorevole sconfitta militare, ma l’incipit della rivolta e della ribellione, da parte del proletariato, contro una guerra barbara ed ingiusta e contro la corruzione della società e della politica italiana: «La rotta di Caporetto assume [...] il volto complesso e contraddittorio di un’autentica rivoluzione prodotta da una coscienza collettiva allo stato nascente» 11. Risulta evidente che tale rappresentazione dei fatti relativi a Caporetto derivi, almeno in parte, dalla retorica socialista a lui contemporanea, per la quale l’universo militare rispecchiava la società ed il sistema capitalista ad esso legato: gli ufficiali erano borghesi ed i fanti proletari, comandanti e sottoposti nello sforzo bellico come padroni e operai nelle relazioni economiche ed industriali in tempo di pace. Vengono riprodotte – e anzi ulteriormente poste in evidenza – dalla guerra e all’interno dell’organizzazione dell’esercito quelle differenze sociali e di classe proprie del mondo contemporaneo: i capitalisti mantengono i loro privilegi di classe, mentre i proletari vengono mandati al macello. Nel corso di questo breve trattato si nota che al panorama culturale di stampo marxista appena delineato, Malaparte somma anche idee di stampo nazionalistico, finendo per considerare la Prima Guerra Mondiale come l’acme della lotta di unificazione nazionale iniziata nel 1821 e ribaltando completamente il giudizio comune su Caporetto. La Grande Guerra viene rappresentata, quindi, come il momento culminante della rivoluzione nazionale: «il solo evento in grado di riattivare l’originale spirito risorgimentale e purgare la corrotta élite liberale» 12.

6La figura del fante, quindi, è posta al centro di tutta l’opera e viene a rappresentare, in maniera efficace, l’inquietudine ed il malessere che attraversavano la società italiana tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti del xx secolo. Proprio in questi anni di fermento, infatti, le masse italiane oscillano tra i vagiti rivoluzionari del “biennio rosso” (1919-1921) e la spinta reazionaria del fascismo culminata con la marcia su Roma (1922).

7Malaparte, proprio nelle fasi iniziali del suo pamphlet, sostiene che il 1914 fu l’anno in cui per la prima volta il popolo tutto fu chiamato a combattere, in quanto:

  • 13   Curzio Malaparte, op. cit., p. 20.

Mai fino ad allora, il popolo, in quanto popolo, si era battuto.
Le guerre erano state combattute, fino ad allora, dagli eserciti regolari, sotto la guida di pochi uomini esperti nell’arte. Le nazioni avevano continuato a vivere in pace, sul margine della guerra, attendendone l’esito.
Questa volta, invece, tutto il popolo fu chiamato in aiuto della società costituita, nemica, economicamente e socialmente, del popolo. [...] La nazione armata, o, meglio, il proletariato armato, fu il paradosso dell’anno 1914 
13.

  • 14   Angelo Colombo, op. cit., p. 183.
  • 15   Curzio Malaparte, op. cit., p. 10.
  • 16 Ibidem, p. 24.

8Questo breve brano permette di comprendere quale è lo spazio che Malaparte intende occupare e quale è l’ideologia di fondo che lo guida: «l’inserimento del popolo, nel contenzioso sul dominio del continente europeo come in ogni altra vicenda, produce rivoluzioni» 14. Malaparte si orienta completamente verso una logica socialista e proletaria, profondamente anticapitalista, che, in un certo senso, identifica la guerra ed il lavoro. Secondo Malaparte Marx è il solo ad aver compreso che l’avvento delle macchine e della tecnologia, della produzione di stampo industriale, avrebbe distrutto gli esseri umani: «Aveva capito che la macchina avrebbe ucciso l’anima, la religione, la tradizione. Aveva capito che la macchina avrebbe ucciso lo Stato» 15. Il fante viene, dunque, visto come un proletario che ha accettato la guerra come un dovere e come un lavoro 16. La guerra diventa, quindi, un evento non contro il nemico, ma contro altri proletari e contro altri “poveretti” mandati a morire senza una ragione: il vero nemico, in realtà, è lo Stato ingrato e noncurante del sacrificio compiuto dai fanti. C’è un divario netto tra i fanti e gli ufficiali, che nel corso dell’opera diventa sempre più profondo ed incolmabile man mano che il racconto prosegue:

La profonda ignoranza delle nostre masse non ammetteva complicazioni storiche o geografiche. Quando gli ufficiali ci spiegavano le ragioni ideali della nostra guerra e la necessità di schiacciare la barbarie ed il militarismo degli Imperi Centrali, i soldati ascoltavano con profonda attenzione, ammirando la cultura e l’intelligenza dei superiori; ma non ne capivano niente.

9Quando Malaparte parla di soldati si riferisce, come lui stesso afferma, solamente ai fanti e non a tutta la schiera di uomini, più o meno corrotti, più o meno inetti, che li circonda e i cui ordini i fanti-proletari sono costretti a subire, più che a rispettare:

  • 17 Ibidem, p. 41-42.

Quando parlo di soldati, intendo i soldati di fanteria, i malvestiti, i laceri, i sudici, i buffi e miserabili soldati di fanteria. [...] Io voglio parlare di quella parte della nazione armata, che non aveva né penna né piume, né specialità di reclutamento o di addestramento, di quella rinfusa di popolo di tutte le regioni d’Italia, che non aveva tasche alle giubbe, né distintivi sgargianti, che non si “arrangiava” l’uniforme, che non si toglieva i “salamini”, che portava soltanto un numero al berretto e un paio di mostrine, che veniva sballottata senza posa da brigata a brigata, da reggimento a reggimento, da compagnia a compagnia, che era composta di artigiani e di operai, di braccianti e di lavoratori di ogni arte, di contadini soprattutto. [...] Quando parlo di soldati, intendo i pazienti, i buoni, gli ignari soldati di fanteria, che raggruppati intorno ai migliori elementi della piccola borghesia italiana, hanno tracciato strade, scalato montagne, conquistato a furia di sangue trincee e trincee, ucciso senza odio e senza odio dato la vita, che hanno compiuto miracoli e sacrifici indicibili, che sono morti a migliaia senza capire e senza farsi capire. Parlo della fanteria; dove si entrava per destinazione o vocazione. O per punizione – come aveva stabilito Cadorna, il nemico della fanteria 17.

10Si nota facilmente la vis polemica che echeggia in questo brano, sottolineata anche dai corsivi posti dall’autore per evidenziare ancora di più, anche graficamente, la contrapposizione tra il proletariato e la borghesia. I fanti sono raffigurati come “santi” che hanno accettato ogni cosa per un “bene superiore”, che non hanno neanche compreso a fondo ciò che stanno facendo: nell’idea di Malaparte, i fanti si sono sacrificati per tutto il resto del popolo italiano – per gli interventisti e per i pacifisti nella stessa misura – senza lamentarsi e senza avere la necessità di dover comprendere ciò che veniva richiesto loro da una borghesia, che approfittava della loro ignoranza e della loro disponibilità, del loro coraggio e della loro incapacità di porsi le giuste domande. Proprio il brano sopra citato sembra descrivere perfettamente il nucleo ideologico intorno al quale si sviluppa questo saggio-trattato di Malaparte, in cui l’autore vuole spiegare le ragioni della ribellione dei fanti e riscattare il loro buon nome davanti all’Italia intera. Malaparte non accetta il ruolo che è stato assegnato ai fanti, quello di perdenti e disertori, vuole giustificare Caporetto e ribaltarne la visione nell’immaginario comune: vuole riscattare i fanti e con i essi tutto il proletariato.

11Malaparte sottolinea, infatti, che gli stessi fanti, non avendo mai fatto pesare tutti i sacrifici ed i “miracoli” che hanno compiuto durante i primi durissimi anni di guerra, non sono riusciti a far apprezzare loro stessi dal popolo per il quale si sono sacrificati e del quale facevano parte. Egli, dunque, punta il dito contro Cadorna e la borghesia, che definisce più volte nemici dei fanti, che li hanno sfruttati e lasciati massacrare senza che ce ne fosse la necessità: li usavano come sacchi vuoti che dovevano scagliarsi contro le trincee e morire infilzati, l’uno dopo l’altro, ammassati sopra altri cadaveri, senza che ci fosse un vero piano e un reale bisogno di ciò.

12La verità per Malaparte non è che questi soldati-proletari siano dei disfattisti, ma anzi è che i fanti, nel corso degli anni che vanno dal 1914 al 1917, hanno progressivamente preso coscienza di ciò che veniva chiesto loro e del fatto che, in realtà, non combattevano i loro veri nemici, ma altri fanti, altri contadini, altri semplici uomini:

  • 18 Ibidem, p. 48.

Fino al giorno in cui il nostro fante capì che la sua rassegnata serenità nell’uccidere senza una ragione (né tattica né politica), senza domandare il perché, senza sapere per chi, era un insulto per quelli ch’erano già morti e per quelli che dovevano morire. [...] Fu quando la fanteria prese ad avere coscienza della sua funzione sociale e nazionale 18.

  • 19 Ibidem, p. 50.

13Queste frasi sono poste verso la conclusione del VI capitolo del volume, che – situato all’incirca a metà dell’opera – rappresenta il momento della presa di coscienza da parte dei fanti ed il loro successivo cambiamento: è l’inizio della rivolta, che per Malaparte è soprattutto rivoluzione proletaria. Da questo momento in poi l’attenzione si sposta ancora di più sulla contrapposizione sociale che c’è tra le diverse “caste”, in ragione della quale si sviluppa una sorta di «[...] istinto di casta. La solidarietà dei miserabili è il sentimento più tragico e che più commuove» 19.

  • 20 Ibidem, p. 62.
  • 21 Ibidem, p. 63.
  • 22 Ibidem, p. 71.

14I fanti, che avevano sempre accettato tutto in silenzio ed in maniera remissiva, stanno aprendo finalmente gli occhi su chi siano i loro veri nemici ed iniziano a provare rancore verso chi, al contrario di loro, non conosce il dolore, i pidocchi e la disperazione. Gli interventisti sono tra i primi verso cui si orienta l’odio dei fanti, in quanto sono coloro che hanno premuto per la guerra e che poi, nella maggior parte dei casi, si sono defilati e sono rimasti a casa, al caldo, vicino alle loro donne oppure che sono partiti per la guerra come ufficiali o si sono intrufolati nei Comandi, nei servizi, negli uffici militari e civili 20: nessuno di questi ha vissuto il vero orrore e ha conosciuto, come i fanti, la paura e la disperazione. Nessuno di questi ha dovuto sacrificare la sua vita e veder morire i suoi compagni senza un motivo. In una sempre più accorata e crescente difesa dei fanti e del loro malessere sociale Malaparte tratteggia questa figura come quella di una massa di soldati disperati, che «andavano avanti perché non potevano tornare indietro» 21. Più la disperazione dei fanti aumenta, più il disprezzo del loro paese nei loro confronti diventa maggiore. I Comandi e i superiori continuano ad ordinare inutili massacri, che non fanno altro che esacerbare la situazione: «Il fante a un certo punto si accorse di essere divenuto un condannato»22. Quando il fante comprende che nessuno lo capiva ed apprezzava per il suoestremo sacrificio”, decide di ribellarsi e di scagliarsi contro il suo stesso ingrato Stato:

  • 23 Ibidem, p. 72.

Allora il fante, solo, disperato, invelenito d’odio, si buttò contro la legge. Cioè contro la nazione che non lo capiva, contro gli imboscati, contro gli inabili alle fatiche di guerra, gli esonerati, i patrioti retorici, gli speculatori del sacrificio altrui, contro il Governo disfattista, contro i nemici della fanteria, contro i nemici dell’Italia del Carso e degli Altipiani. Caporetto 23.

  • 24 Ibidem, p. 74.
  • 25 Ibidem, p. 75.

15Attraverso le parole di Malaparte, la reazione dei fanti assume i tratti di una rivoluzione e di una rivolta di classe. Da questo momento in poi Malaparte inizia a giustificare ogni comportamento “deviante” dei fanti; ad esempio parla dei casi di omicidio – rarissimi come lui stesso afferma 24 – di ufficiali da parte di fanti. Malaparte sostiene che questi avvengono non per odio o per malvagità, ma per vendetta; e la vendetta presuppone che prima ci sia stato un torto. Il fatto che, durante i primi tre anni di guerra, i fanti siano stati mandati a combattere e a morire senza un vero piano da parte dei Comandi, che non siano mai stati esaltati dai giornali e dalla propaganda il loro coraggio e il loro sacrificio e che, spesso, siano stati lasciati soli a morire, malati e feriti, giustifica ogni loro atto di violenza. La loro violenza, secondo Malaparte, è ammissibile in quanto è una reazione a quanto fino a quel momento subito, per l’appunto, è una vendetta contro i borghesi e i potenti. La rivoluzione sociale che è in atto non può non presupporre la violenza. Malaparte arriva a sostenere anche di più: «Senza Caporetto noi avremmo perduto la guerra. Caporetto è la rivoluzione che ha sferzato a sangue, smascherato, bollato a fuoco tutti i ruffiani e le sgualdrine che riempivano l’intero paese» 25.

  • 26 Ibidem, p. 76.

16Per Malaparte gli atti d’odio da parte della fanteria non erano casuali e scellerati, ma ben calcolati e diretti solamente contro tutto ciò che era «borghese, intellettuale e imboscato» 26:

  • 27 Ibidem, p. 87.

Su tutto ciò che era borghese, imboscato, intellettuale, su tutto ciò che dalla guerra, in onta al fango e al sangue delle trincee, aveva tratto lustro e risalto, si scagliava la rabbia “sociale” dei fanti in rivolta 27.

17A questo punto dell’opera, attraverso le parole dell’autore, la fanteria non sembra più essere solo l’insieme di un gruppo di uomini disperati, ma diventa, in ragione della sua nuova presa di coscienza, il proletariato dell’esercito:

  • 28   Angelo Colombo, op. cit., p. 186.

[...] la disfatta si colora dei significati di una rivolta motivata e “santa”, al termine della quale si intravede, benché indistinto, un progetto di riforme sociali e politiche affidato alla negazione preliminare della società e della politica, ma soprattutto di riscatto morale dei popoli 28.

18Il proletariato e la fanteria si sommano in una sola immagine, come avviene anche per la società e la guerra: Malaparte a questo punto può tracciare l’esaltazione di questi nuovi moti rivoluzionari, che a suo parere, gemelli di quelli russi, attraverseranno e scuoteranno tutta l’Europa.

19Il volume di Malaparte altro non è, dunque, che un’opera di esaltazione e redenzione dei fanti-proletari e dei loro ideali sociali. Quest’opera, nonostante alcuni dei suoi tratti, può comunque difficilmente essere completamente assorbita nell’ambito dell’ideologia tradizionale socialista e rivoluzionaria italiana:

  • 29   Andrea Pozzetta, op. cit., p. 52.

Il richiamo al ruolo di guida delle avanguardie intellettuali, il fascino per il potere carismatico delle grandi individualità, l’ammiccamento ad un approccio populistico nei confronti delle masse, sono elementi che nel primo dopoguerra vanno decisamente nella direzione imboccata dal movimento fascista 29.

  • 30   Mario Isnenghi, Introduzione, in Curzio Malaparte, Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledett (...)

20Del resto è anche vero che se non può essere del tutto “rossa”, quest’opera non è neanche “nera”: come la stessa personalità ambigua e ambivalente di Malaparte, questo pamphlet rimane in bilico, assorbendo istanze diverse e contraddittorie. Infatti, «è proprio grazie a queste matrici proiettate su una “lotta di classe” non marxista che Malaparte si libra etereo (e confuso) tra socialismo e fascismo senza voler andare né da una parte né dall’altra» 30.

21Proprio ciò rende quest’opera così difficile da digerire per i suoi contemporanei e così soggetta alle censure e ai sequestri: ciò che Malaparte teorizza in queste pagine è, di fatto, inaccettabile per chi in quegli anni aveva assistito alla guerra, in quanto si scaglia contro l’opinione pubblica e lo Stato senza alcun riguardo, ma anzi mette in rilievo e connota positivamente ogni possibile forma di trasgressione sociale.

22Nel momento in cui i fanti iniziano a trasgredire gli ordini, tutti si scagliano contro di loro senza esclusione di colpi, e fuggono senza guardarsi indietro:

  • 31   Curzio Malaparte, op. cit., p. 83.

Appena il fronte dell’Alto Isonzo, abbandonato dagli insorti, crollò, ebbe inizio la fuga delle retrovie, dei servizi, degli imboscati, degli sfruttatori, di quelli che vivevano in margine alla guerra facendone la “réclame” e godendone i benefici. [...] Tutti coloro che temevano l’ira e l’esasperazione del fante, erano fuggiti a precipizio, senza nemmeno pensare a resistere, a prendere le armi, dopo aver scagliato anatemi contro i “traditori della patria” che non volevano più farsi ammazzare per loro 31.

23Ciò che è avvenuto a Caporetto è davvero una rivolta del popolo, che non ha capi e non è stata preparata:

  • 32 Ibidem, p. 95.

Durante le giornate di Caporetto nessun uomo era uscito dalla folla dei senza-fucile, a capeggiare il movimento. La rivoluzione era scoppiata come un tumore maturo. Nessuno l’aveva preparata, nessuno l’aveva diretta. Compiuta da un popolo di fanti, da un umilissimo popolo di paria e di disperati, schiacciati a uno stesso livello di miseria e di disperazione dalla sofferenza sociale e nazionale delle guerra, essa si era svolta all’infuori del cerchio di una determinata volontà, come tutti i movimenti di plebi che hanno origine da un’angoscia comune, da una sofferenza egualmente sentita 32.

  • 33 Ibidem, p. 99.

24Ed è proprio in questo senso che il fante “rivoluzionario” viene efficacemente a rappresentare l’immagine dell’inquietudine della società italiana della Grande Guerra. Nel 1917 il soldato-fante finalmente, dopo avere, per la prima volta, realmente preso coscienza della sua situazione, si ribella al dolore e alla cieca obbedienza: da ultimo appare agli occhi degli italiani «la sofferenza sociale della guerra» 33. Proprio sul termine del racconto Malaparte, alla luce di questa diffusa “sofferenza sociale”, avvicina la rivoluzione di Caporetto a quella russa. Sono entrambe rivoluzioni che cambieranno, a suo parere, l’intera società, ma che hanno una profonda differenza:

  • 34 Ibidem, p. 100-101.

I due avvenimenti iniziali – facce diverse di uno stesso fenomeno – la rivoluzione russa e Caporetto hanno dato origine a due movimenti paralleli, tesi ad un unico termine, ma l’uno e l’altro da un diverso spirito animati. In quello russo dòmina il senso della collettività, in quello italiano il senso dell’individuo. Dallo svolgersi e dall’incontro di questi due movimenti, nascerà la civiltà nuova: la civiltà dell’uomo umano, dell’individuo nuovo, integrato in una vivace umanità di credenti 34.

  • 35   Giorgio Luti, op. cit., p. 222.

25In conclusione, è possibile evidenziare alcuni aspetti caratterizzanti dell’opera. In primo luogo emerge la volontà politica e polemica di Malaparte di offrire ai lettori a lui contemporanei un’interpretazione alternativa alla vulgata ufficiale della disfatta di Caporetto. Anche se alcuni studiosi sostengono che Malaparte abbia una «attitudine a registrare più che a giudicare gli eventi e i problemi del suo tempo 35», ritengo che – almeno per quel che concerne quest’opera – l’autore basi tutta la sua scrittura proprio su un giudizio, o meglio ancora, sulla volontà di scardinare un giudizio, quello di Caporetto come di una disfatta dovuta alla vigliaccheria dei fanti italiani, che sono fuggiti di fronte al nemico. A tal fine, Malaparte destruttura l’immagine offerta dagli organi ufficiali e dagli intellettuali contigui al potere: sono proprio questi ad essere individuati come reali responsabili dell’esasperazione dei fanti e, di conseguenza, della caduta di Caporetto. Con La rivolta dei santi maledetti l’autore intende evidenziare come i livelli dirigenti dell’organizzazione militare si siano macchiati sia di atroci ingiustizie nei confronti dei fanti, sia di inettitudine nell’ambito della tattica militare, sia – ed è il dato più grave – di aver addossato, agli occhi dell’opinione pubblica contemporanea, la colpa di tale disfatta proprio su chi non ne aveva alcuna. In questo modo, Malaparte intende smascherare i veri responsabili della disfatta.

26In quest’opera viene costruita un’immagine del fante, che rappresenta il popolo ed il proletariato e sopporta tutto con cristiana rassegnazione: in queste pagine il soldato diventa un eroe silenzioso, il cui evidente coraggio non viene mai riconosciuto dallo Stato di cui difende gli interessi. Il soldato di fanteria viene umiliato e abusato, viene sfruttata la sua ignoranza e la sua capacità di sopportare. Viene, quindi, riprodotta nella guerra la distanza di classe tra borghesia e proletariato, che permea l’intera società: gli ufficiali-borghesi sono al riparo da ogni difficoltà, mentre i fanti-proletari sono costretti a vedere negata una licenza cui avrebbero diritto, ad obbedire ciecamente ad ordini senza senso, a non ricevere le cure adeguate se malati e ad essere ributtati nella battaglia ancora con le ferite aperte. Malaparte, quindi, fonde la contrapposizione di classe tra fanti-proletari e ufficiali-borghesi con l’invettiva populista contro la corruzione, l’inettitudine e la vigliaccheria di quanti sono coinvolti nella guerra solo marginalmente, ma che vogliono goderne i frutti. In questo modo, l’autore coniuga, in maniera unitaria, da una parte la concezione strutturale e classista della società contemporanea, secondo Marx destinata ineluttabilmente alla rivoluzione sociale, dall’altra la polemica fascista contro gli intellettuali, i ceti intermedi ed i parassiti dello Stato.

27Caporetto assume su di sé i connotati di un simbolo positivo, in quanto presa di coscienza della classe lavoratrice e rivoluzione sociale. In questo senso quella battaglia diviene la fase conclusiva del processo di emancipazione nazionale: non dal punto di vista territoriale, bensì da quello delle coscienze. Infatti, nonostante la Prima Guerra Mondiale segni, con le conquiste territoriali del Trentino-Alto Adige, del Friuli-Venezia Giulia e dell’Istria, la conclusione del processo di unificazione nazionale, per Malaparte, Caporetto è il momento in cui i fanti italiani consentono alla nazione di liberarsi dal gravame della degenerazione dello stato liberale, che aveva attanagliato l’Italia dalla fine della fase eroica del Risorgimento sino alla Grande Guerra.

28Malaparte vuole essere incluso in questo processo e, di conseguenza, pur non avendo partecipato direttamente alla rivolta di Caporetto, non solo si schiera a difesa dei fanti sbandati, ma più volte, nel testo, dichiara apertamente di essere uno di loro. In questo modo, sottolineando il valore sociale dell’insurrezione di Caporetto (fanti-proletari contro ufficiali-borghesi) ed aderendo così profondamente alle istanze dei soldati insorti, afferma con convinzione il proprio essere fante e, dunque, rivoluzionario:

  • 36   Curzio Malaparte, op. cit., p. 91.

E ricordiamo all’Italia ufficiale, ai facili acclamatori e ai facilissimi insultatori, ai tabù della nostra politica e dei nostri Comandi, che nessuno può insultare col nome di vigliacchi o di traditori della patria, quanti di noi, prima e dopo Caporetto, hanno marcito nel fango delle trincee per amore di questa Italia di sangue e carne. [...] Non parlo in proprio. Parlo in quanto fante. Personalmente, non c’è nulla da dire sul mio conto: ho fatto la guerra, tutta la guerra, dalle Argonne alla Vittoria, in modo magnifico. Ho una legittima superbia di quello che ho compiuto 36.

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Notes

1   Giancarlo Vigorelli, Malaparte: Testimonianza e proposta di revisione, in Curzio Malaparte, Opere Scelte, a cura di Luigi Martellini, Milano, Mondadori, 1997, p. xxix.

2   Lucio Ceva, Teatri di guerra: comandi, soldati e scrittori nei conflitti europei, Milano, Franco Angeli, 2005, p. 106.

3   Giorgio Luti, Malaparte narratore d’inchiesta e di memoria, in Gianni Grana (a cura di), Malaparte scrittore d’Europa, Prato, Marzorati, 1991, p. 219.

4   Enzo R. Laforgia, Malaparte scrittore di guerra, Firenze, Vallecchi, 2011, passim.

5   Giorgio Luti, op. cit., p. 221.

6   Cfr. Andrea Pozzetta, “Ci sono veramente delle canaglie fra i soldati!” Curzio Malaparte: da Viva Caporetto! a La rivolta dei santi maledetti, in Roberto Cicala (a cura di), Inchiostro proibito. Libri censurati nell’Italia contemporanea, Pavia, Edizioni Santa Caterina, 2012, p. 55.

7   Curzio Malaparte, Opere Scelte, a cura di Luigi Martellini, Milano, Mondadori, 1997, p. 1489.

8   Andrea Pozzetta, op. cit., p. 59.

9   Angelo Colombo, Per una rilettura della Rivolta dei santi maledetti, in Gianni Grana, op. cit., p. 181-182.

10   Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, vol. iii, Torino, Einaudi, 1977, p. 2010-2034.

11 Ibidem, p. 186.

12   Andrea Pozzetta, op. cit., p. 49.

13   Curzio Malaparte, op. cit., p. 20.

14   Angelo Colombo, op. cit., p. 183.

15   Curzio Malaparte, op. cit., p. 10.

16 Ibidem, p. 24.

17 Ibidem, p. 41-42.

18 Ibidem, p. 48.

19 Ibidem, p. 50.

20 Ibidem, p. 62.

21 Ibidem, p. 63.

22 Ibidem, p. 71.

23 Ibidem, p. 72.

24 Ibidem, p. 74.

25 Ibidem, p. 75.

26 Ibidem, p. 76.

27 Ibidem, p. 87.

28   Angelo Colombo, op. cit., p. 186.

29   Andrea Pozzetta, op. cit., p. 52.

30   Mario Isnenghi, Introduzione, in Curzio Malaparte, Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti, Milano, Mondadori, 1981, p. 7.

31   Curzio Malaparte, op. cit., p. 83.

32 Ibidem, p. 95.

33 Ibidem, p. 99.

34 Ibidem, p. 100-101.

35   Giorgio Luti, op. cit., p. 222.

36   Curzio Malaparte, op. cit., p. 91.

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Pour citer cet article

Référence papier

Francesca Medaglia, « La figura del fante ne La rivolta dei santi maledetti di Curzio Malaparte »Italies, 19 | 2015, 67-78.

Référence électronique

Francesca Medaglia, « La figura del fante ne La rivolta dei santi maledetti di Curzio Malaparte »Italies [En ligne], 19 | 2015, mis en ligne le 30 mars 2016, consulté le 29 mars 2024. URL : http://journals.openedition.org/italies/5145 ; DOI : https://doi.org/10.4000/italies.5145

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Auteur

Francesca Medaglia

Université La Sapienza, Rome

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